Le “rivoluzioni” meno pericolose al mondo
Il mensile Millenium ha pubblicato nel numero di marzo un’intervista ad Aleksandr Dugin.
Quello che è stato definito «il filosofo più pericoloso al mondo» (di questi tempi di feroce e incontrastato dominio capitalistico, quando il massimo dell’eresia accessibile alla grande esposizione mediatica è quella di scegliere la parte “cattiva” dell’assetto imperialistico globale, evidentemente non ci vuole molto per meritarsi tali sulfurei appellativi) ha ampiamente spaziato. Da Mosca eterna “terza Roma” a Putin che dovrebbe governare «per sempre», dalla «vera normalità» (voluta da Dio e dalla Natura) all’«accelerazionismo» (l’«interessante» ideologia dei tecnocrati di estrema destra, se mai ci fosse qualcuno che non si accontentava ancora della già enorme discarica di formule tanto altisonanti quanto sufficientemente vaghe da essere spese di volta in volta alla bisogna...). Qua e là ha anche offerto qualche spunto interessante sui rapporti di potenza e sulla storia dell’identità tedesca, ma quello che ci preme sottolineare è come anche il teorico dell’eurasiatismo non si discosti di un millimetro dall’utilizzo superficiale e grossolano, dalla volgarizzazione borghese più spicciola del concetto di rivoluzione. Plaudendo alla nuova Amministrazione Trump, non esita a definirne il significato storico come quello di «una rivoluzione in piena regola».
Essere rivoluzionari, quindi, significherebbe essere illiberali e anti-globalisti. I grandi capitalisti che hanno sostenuto la corsa trumpiana alla Casa Bianca, i magnati che controllano imperi economici più grandi delle economie di molti Stati e che supportano l’Amministrazione del miliardario “anti-globalista” (senza approfondire quanto sia mistificatorio attribuire allo stesso profilo imprenditoriale di Trump e dei suoi ricchissimi alleati i caratteri di una strenua opposizione al mercato globale), come si coniuga tutto questo con il concetto di rivoluzione? Basta essere al servizio di una parte della classe dominante contro l’altra (liberale, globalista, woke etc. etc.) per acquisire la funzione storica di rivoluzionari? Un po’ pochino per «il filosofo più pericoloso al mondo».
Intanto i “rivoluzionari” tornati al potere negli Stati Uniti stanno picchiando duro contro chi evidentemente rappresenta le classi sociali nemiche della rivoluzione, detentrici del potere che la rivoluzione mira ad abbattere. I legislatori repubblicani e trumpiani della Florida stanno mettendo mano ad una legislazione volta a rimuovere le limitazioni vigenti all’impiego di manodopera minorile. Sarebbero previsti turni di notte anche durante l’anno scolastico, la cancellazione di diritti alle pause. E la “rivoluzione”, già in corso da qualche anno, non riguarda la sola Florida: tra il 2021 e il 2024 in 31 Stati degli USA sono stati presentati disegni di legge per depotenziare le norme a tutela del lavoro minorile (Financial Times, 8 aprile). Con la cacciata dei lavoratori immigrati d’altronde si profilava, per ampie fette di padronato, lo spettro di dover rivolgersi ad un bacino di manodopera più ristretto, di assumere lavoratori regolari a salari più alti (spesso i capitalisti fanno fatica ad accettare che la merce forza lavoro possa rispondere anch’essa alle leggi del mercato...). Ecco, quindi, i “rivoluzionari” correre in soccorso dei padroni ed adoperarsi perché possano ancora disporre di una riserva di manodopera “flessibile” e a basso costo. Ovviamente proclamano di farlo per i più nobili, tradizionali (of course), valori educativi.
In sostanza, Dugin e i suoi arci-nemici liberali e globalisti condividono pienamente una concezione di rivoluzione che lasci inalterati i rapporti sociali, il modo di produzione capitalistico, il dominio di classe della borghesia. Liberali e illiberali, sovranisti o globalisti, tutti dichiarano di sostenere ardentemente le loro, particolari, rivoluzioni che lasciano l’ordinamento sociale così com’è.
L’unica rivoluzione, che tutti questi borghesi non vogliono, è quella vera.
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