LORO E NOI - 07/05/2025
 
La «fisiologica cretineria» dell’uomo di mondo

Quando hanno affrontato la questione della guerra, quando si sono posti il problema di come arrivare ad una condizione storica in cui il ricorso alla guerra potesse essere scongiurato, superato dall’umanità, Erasmo da Rotterdam e Immanuel Kant hanno evidentemente sparato «minchiate».
Così hanno fatto, in forma poetica, Gianni Rodari, Italo Calvino, Nazim Hikmet, molti altri e altre.
Così ha fatto Martin Luther King e persino alcuni di coloro che sono stati considerati tra i massimi punti di riferimento dell’asserito progressismo borghese alla prova di Governo, come Franklin Delano Roosevelt e John Fitzgerald Kennedy.
Ce lo spiega Mattia Feltri su La Stampa dell’8 aprile.
Avendo la ventura di abitare in una «casa romana» sotto cui transitano continuamente cortei di manifestanti (e poi dicono che la vita è difficile nelle periferie e nei quartieri poveri...), il giornalista del quotidiano torinese ha maturato una certa competenza nel giudicare gli slogan da corteo (caratterizzati da «fisiologica cretineria», assicura) ed è giunto infine a proclamare «lo slogan più cretino di sempre».
Ha potuto arrivare a questa conclusione dopo aver ascoltato i partecipanti alla manifestazione promossa dal Movimento Cinque Stelle, a cui ha aderito il «grosso del resto della sinistra», scandire: «Fuori la guerra dalla storia».
D’altronde l’esperto di cretineria da corteo rivela una biografia intellettuale che non lascia dubbi circa la sua superiore comprensione del mondo e della storia. C’è un aforisma, di varia attribuzione, che periodicamente viene rivolto contro chi, nonostante il passare degli anni e le stagioni della vita, non si rassegna a piegarsi di fronte alle mostruosità della società divisa in classi e dominata dal capitale, contro chi non considera la necessità di impegnarsi contro le regole di un mondo disumanizzante come un passatempo giovanile. Il succo è più o meno questo: essere rivoluzionari a vent’anni è accettabile, persino apprezzabile, ma non oltre, quando la persona di qualità sa mettere la testa a posto. Ebbene, il titolare della rubrica “Buongiorno” non ha avuto nemmeno bisogno di passare dalla fase romanticamente rivoluzionaria. Quanto sia assurdo pensare di trasformare radicalmente la società, quanto sia vano credere che si possa eliminare la povertà, tutto questo lo ha capito «entro il ginnasio». Adolescente e già così consumato uomo di mondo. Meno male che la vita borghese sa dispensare anche le sue gratificazioni sennò ci sarebbe da inorridire al pensiero del desolato grigiore, del disperato intorpidimento a cui sarebbe condannata un’esistenza segnata da un così precoce e spento conservatorismo.
Ora, non saremo certo noi marxisti a disconoscere che l’aspirazione al raggiungimento di uno stadio della storia della specie umana in cui non sia più compresa la guerra, se non è sorretta dalla consapevolezza della necessità della lotta rivoluzionaria contro i presupposti e le condizioni sociali della guerra, è illusione, o peggio, inganno. Siamo coscienti che la rivoluzione è guerra di classe, è guerra civile contro le classi dominanti. Non saremo certo noi a negare che le forze politiche che hanno indetto e guidato la manifestazione da cui è partito lo slogan che tanto ha sdegnato Feltri nulla hanno a che vedere con questa consapevolezza e che stanno rivestendo con grandi parole la loro consueta politica di corto respiro nella palude mediatica ed elettorale della borghesia italiana.
Ma derubricare l’aspirazione a “far uscire la guerra dalla storia” a “minchiata” grillina, tale anche perché si assumerebbe «obiettivi di portata evangelica» (il che la dice lunga anche sullo spessore reale, al netto di momenti in cui la cronaca impone l’omaggio più ostentato alla religione dei padri, dell’odierna identità cristiana degli ideologi della borghesia), a «cretineria» inconsapevole della sostanziale immodificabilità della società e delle sue più drammatiche ed evidenti contraddizioni, ha ben altro significato rispetto alla concretezza, al realismo rivoluzionario della critica marxista.
Attesta, ancora una volta, che al momento giusto – giusto rispetto all’andamento degli equilibri borghesi, all’orientamento degli interessi borghesi di riferimento –, con i giusti punti di appoggio, e attenendosi al giusto spartito, l’opinionista di turno può permettersi di irridere secoli di pensiero, può permettersi di farsi beffa anche dei venerabili maestri, al cui nome e alle cui parole un attimo prima si genufletteva. Per altro non è detto che, passata la specifica fase di mobilitazione, non torni ad inginocchiarsi di fronte alle grandi ombre, magari addirittura avocando a sé l’interpretazione autentica delle loro enunciazioni. Sempre con lo stesso, spavaldo, garantito, conformismo.