Purché sia «credibile»
Comprensibile è lo sdegno di Elena Granata per «un certo immaginario immobiliare», per le «logiche di profitto che più cinico non si può» nascoste nella «retorica della rinascita», in volo come avvoltoi intorno alla Striscia di Gaza rasa al suolo, alle terre ucraine «ancora intrise di morte e sofferenza». Difficile non provare disgusto per il continuum affaristico di guerra e ricostruzione, di bilanci aziendali e di esercizio del potere economico e politico da cui scaturiscono «resort di lusso e campi di concentramento».
Eppure, leggendo l’editoriale scritto dall’urbanista per Avvenire (13 luglio), abbiamo provato la forte impressione che, in questa critica di un sistema che unisce conflitti e profitti, distruzione e affari, manchi qualcosa di importante, di risolutivo. Che manchi un’adeguata consapevolezza teorica di come nel capitalismo tutto questo non sia una vergognosa, ipocrita deriva ma una dinamica necessaria e conseguente. Come se in realtà il capitale stesso nella sua essenza, nella sua reale dimensione storica, rimanesse al di fuori del punto focale della critica. Come se mancassero i riferimenti storici, teorici e politici per mettere a fuoco il nemico e di conseguenza perdessero incisività e consistenza le linee guida, i presupposti per affrontare adeguatamente e coerentemente la battaglia contro di esso. Pedanterie autoreferenziali di marxisti mai disposti a riconoscere il valore dell’altrui riflessione? Settarismo incline ai pruriti e agli steccati identitari? Miope incapacità di riconoscere il buono in nome di una sterile attesa del meglio?
La risposta è nel finale dell’articolo.
Per interrompere «la spirale del ciclo bellico-immobiliare», per impedire che la ricostruzione venga affidata «a chi ha armato la guerra» servirebbe un «Ministero della Pace credibile»...
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