Prospettiva Marxista
 
Cretinismo parlamentare I

Nel bagaglio delle definizioni con cui il marxismo ha sintetizzato e denunciato fenomeni politici, correnti, attitudini e travisamenti ideologici germogliati sul tronco della collaborazione di classe e della sudditanza agli interessi della borghesia e delle sue istituzioni, figura il “cretinismo parlamentare”.
Si corre il rischio di ridurre tale concetto a mero insulto, a semplicistica irrisione ai danni di un avversario politico troppo concentrato sulla sola attività parlamentare.
In realtà, come per molte espressioni proprie della letteratura marxista, il significato è più grave e profondo. Allude, con un chiaro richiamo al linguaggio medico, ad una condizioni avvicinabile alla patologia. Il cretinismo parlamentare, infatti, porta a considerare la vita politica, i processi storici, la sfaccettata e complessa dinamica dell'interazione e del conflitto tra le espressioni organizzate di classi e frazioni di classi, solo attraverso il prisma, su questa scala in verità assai limitato e persino fuorviante, delle vicende connesse all'attività parlamentare (con il suo corollario di campagne elettorali, elezioni, maggioranze, minoranze, formazione di Esecutivi etc.). Il soggetto affetto da questa deformazione politica non è nemmeno più descrivibile come un lucido e consapevole ingannatore, ma è egli stesso vittima di questa affezione che lo porta realmente a leggere l'esistenza politica di una società entro questi limiti.
In genere siamo portati ad associare il cretinismo parlamentare a formazioni politiche di sinistra. E questa propensione ha le sue ragioni. Il cretinismo parlamentare ha avuto fin dalle origini ampia diffusione su questo versante, scorre (non da oggi) a fiumi nelle arterie dei partiti parlamentari di sinistra o aspiranti tali, delle maggiori organizzazioni sindacali, contagiando tanto i vertici quanto le mitiche “basi”. Intere generazioni, purtroppo anche di proletari, sono state a tal punto impregnate di cretinismo parlamentare che, allo scoccare della campagna elettorale di turno, assistiamo regolarmente allo spettacolo di persone, altrimenti disposte e capaci di riflessione politica non banale, di riconsiderazione critica del percorso di quelle che sono state le loro forze politiche di riferimento, soggiacenti in un baleno al richiamo della foresta. L'urna chiama, le televisioni impazzano di antagonismi presentati come estremi (tutti in realtà estremamente confinati nel recinto della stessa classe dominante), il babau elettorale di turno incombe ed ecco che la riflessione politica seria, lo sforzo di mettere a fuoco discriminanti che vadano oltre il teatrino della campagna elettorale, la propensione ad andare alla radice delle dinamiche politiche si spengono, si interrompono. Ritorna prepotentemente il richiamo al voto “giusto”, il fascino travolgente dell'ordalia democratica, l'illusione tanto disperata quanto tenace di poter incidere veramente attraverso il proprio voto in una dinamica politica nonostante tutto percepita come funzionale a rispondere ai propri interessi.
Davvero i nostri maestri nel coniare e utilizzare questa definizione non sbagliarono ad evocare le problematiche dell'infermità mentale su scala sociale…
Ma non è detto che il cretinismo parlamentare alligni solo a sinistra.
Un esempio da manuale ci viene offerto da il Giornale del 23 ottobre 2012, con il ricordo della figura di Enrico Mattei. Orbene, come viene sintetizzata l'esperienza umana del fondatore dell'Eni, comandante partigiano, ideatore del quotidiano Il Giorno, abile e spregiudicato competitore nella lotta di correnti interne alla Dc e nelle grandi e letali spartizioni energetiche a livello mondiale (come per altro viene ricordato nello stesso articolo a firma di Mario Cervi)? «L'uomo che fece grande l'Italia senza passare dalla politica». Incredibile. L'attività di deputato fu effettivamente solo una parentesi nella vita pubblica di Mattei ma affermare che per questo non sia passato «dalla politica» significa ormai avere della politica un concetto talmente misero, chiuso, ridotto che ben lo si può definire, senza alcuna volontà di offesa, cretinismo. Con simili parametri andrebbero espulsi dal novero degli uomini politici, tra gli altri, anche Napoleone, Marx, Lenin, oltre che legioni di papi, imperatori e leader religiosi vari (tutti meno “politici” dell'ultimo scaldaseggio parlamentare, avvezzo, ad ogni tornata elettorale, a far tappezzare le pubbliche vie della rispettiva circoscrizione con il proprio faccione).
Il punto che ci preme infine sottolineare è che con tale affezione la classe dominante può, bene o male (più male che bene a onor del vero), convivere. Scadrà il livello del personale che occupa le proprie istituzioni, scadrà il dibattito pubblico, occorrerà cercare di trovare, formare, valorizzare altri ambiti entro cui preservare, trasmettere e sviluppare capacità e competenze politiche con cui affrontare i nodi della tenuta del regime di classe e della competizione con altre borghesie. Ma il dominio borghese non collasserà certo per eccesso di cretinismo parlamentare. La classe dominata, invece, la nostra classe, dovrà necessariamente fare i conti risolutamente con questa tara, esprimere un partito che sappia ingaggiare contro di essa una lotta lucida e spietata. Senza di questo non potrà scrollarsi di dosso l'ordinamento sociale che la opprime.