Piccola guida al lessico padronale italiano
Pizzicotto: più precisamente «piccolo pizzicotto», cautissimo richiamo del ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti all’opportunità che gli istituti finanziari, considerate le condizioni estremamente favorevoli in cui versano (anche grazie all’inconsistenza totale della tassa sugli extraprofitti delle banche, provvedimento minacciato dal Governo populista contro i cosiddetti poteri forti), contribuiscano al sostegno economico delle «famiglie». Immediata la replica del ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani: le banche «sono imprese, non credo serva dare pizzicotti alle banche ma serve parlare con loro» (La Stampa edizione online, 24 agosto). Parlare con gli istituti finanziari, invece di imporre loro innaturali sacrifici (vedi alla voce), è una scelta favorevole al benessere dell’economia, del Paese etc.
Sacrificio: si intende l’insieme di provvedimenti che regolarmente, da Governi espressi da qualsivoglia maggioranza parlamentare, vengono applicati in chiave peggiorativa sulle condizioni di lavoro e di vita della quota di popolazione che dispone solo della propria forza-lavoro. Il sacrificio, imposto in genere senza che serva «parlare» con i lavoratori (cioè ottenerne il consenso preventivo e vincolante come invece è d’obbligo per eventuali provvedimenti evocati con espressioni come il piccolo pizzicotto), può riguardare misure di contenimento salariale (fino all’introduzione di forme di impiego gratuite o caratterizzate da retribuzioni estremamente esigue come tirocini, stage, contratti di apprendistato, alternanza scuola-lavoro etc.), ampliamento e agevolazione delle possibilità di licenziamento, allontanamento sistematico dell’età pensionistica e riduzione dell’ammontare dell’assegno pensionistico, riduzione e peggioramento delle prestazioni pubbliche come quelle sanitarie pur in presenza del mantenimento di una pressione fiscale sul reddito da lavoro nettamente sproporzionata rispetto ad altri profili reddituali etc. Il sacrificio è sempre ovviamente richiesto/imposto in nome del benessere dell’economia, del Paese etc.
Follia: si manifesta quando l’ammontare dei versamenti dell’Unione europea agli imprenditori agricoli non tiene il passo dell’inflazione (fonte: Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, Corriere della Sera, 17 luglio). Quando invece sono i salari ad essere penalizzati dal tasso di inflazione è bene assolutamente non incrementare il livello salariale, onde evitare l’innescarsi di una temibile spirale di prezzi e salari che pregiudicherebbe fatalmente il benessere dell’economia, del Paese etc.
Speculazione: quando l’esubero dell’offerta rispetto alla domanda genera una diminuzione del prezzo del prodotto in questione. Onde evitare questo pernicioso fenomeno vengono, ad esempio, stabiliti limiti alle rese per ettaro nella produzione vinicola e destinati a precisi usi gli esuberi onde evitare la suddetta speculazione sulle uve in eccesso (fonte: Paolo Ricagno, presidente del Consorzio Tutela Vini d’Acqui, La Stampa-cronaca di Alessandria, 23 agosto). Una tesi minoritaria e ampiamente contestata ricondurrebbe invece il fenomeno della speculazione alle naturali e incontestabili leggi di mercato. Trattasi di un errore che si riscontra anche in altri ambiti della vita economica. La speculazione può essere ravvisata anche quando, in presenza di un eccesso di domanda di forza lavoro rispetto all’offerta, si manifesta una dannosa tendenza all’aumento del prezzo della forza-lavoro (o salario). Segnali preoccupanti di una tendenza alla speculazione si possono cogliere ad es. in settori caratterizzati da picchi di attività stagionali, come il settore del turismo o la ristorazione, quando, di fronte ad un incremento del fabbisogno di dipendenti, si assiste alla nociva propensione ad esigere un incremento del salario. È acclarato che alla base di queste pericolose attitudini vi sia in realtà una sostanziale scarsa volontà di lavorare. È invece pienamente coerente con le leggi di mercato proporre/imporre riduzioni di salario laddove si riscontri un eccesso di offerta di forza-lavoro in relazione alla domanda. In questo caso l’auspicabile contenimento salariale è finalizzato al benessere dell’economia, del Paese etc.
Questione salariale: conosciuta anche (secondo una terminologia arcaica ed erronea) come aggravamento della condizione della classe salariata in presenza di un livello salariale ritenuto inadeguato a fare fronte dignitosamente al costo della vita e a spese considerate necessarie per un’esistenza civile. Falso problema subdolamente sollevato periodicamente da cenacoli passatisti rivelatisi ancora legati a forme di pensiero illusorie e superate dalla Storia (vedi Ideologia). La questione salariale – a differenza dei problemi della speculazione, della follia o del piccolo pizzicotto – è da considerarsi sostanzialmente risolta, come è stato autorevolmente stabilito dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso: l’inversione di tendenza sulle retribuzioni c’è già stata, «i lavoratori hanno recuperato parte di quello che avevano perso negli anni precedenti». Un’eventuale richiesta di ulteriori dati, precisazioni e quantificazioni è – a differenza dell’opera di contrasto di problemi come la speculazione, la follia o il piccolo pizzicotto – da ritenersi assolutamente superflua. Nella misura in cui dovessero entrare in contrasto con questa conclusione, di per sé evidente, le ricerche e le cifre fatte circolare da enti come la Caritas, secondo cui sarebbero in crescita i lavoratori in condizioni di povertà (working poor), sono da considerarsi contrarie alle leggi di mercato, al benessere dell’economia, del Paese etc.
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