LORO E NOI - 11/10/2025
 
Le due facce e mezza di una fetida medaglia

Come abbiamo già avuto modo di constatare su questo sito web nella sezione “Prima Pagina”: «La grande corsa alla fetta della torta della mobilitazione per Gaza è ufficialmente cominciata».
E così vari intellettuali di sinistra non stanno perdendo tempo per salire sul carro del movimento pro Pal, dando giudizi, elargendo consigli, soprattutto se non richiesti, e via dicendo.
In questo nuovo sport soprattutto nazionale ci si è messo anche il noto scrittore Alessandro Baricco: «Adesso è difficile individuarlo, ma c’è stato un giorno, recente, in cui Gaza ha smesso di essere il nome di una terra per diventare la definizione di un limite: la linea rossa che molti di noi hanno scelto come confine invalicabile. Da quel giorno, lottare al fianco di Gaza non è più stata una scelta politica, da legittimare o da porre in discussione […] è divenuta molto di più che una situazione geopolitica su cui prendere posizione: oggi è il nome di un certo modo di stare al mondo».
Basta analisi politiche, approfondimenti ecc. quel tempo è ormai passato, o si sta qua o là. Ma Baricco non si ferma certamente a questo. Individua lo spartiacque tra vecchio e nuovo, tra l’orribile Novecento ed il nuovo millennio, tra un’epoca di imperialismo, colonialismo, nazionalismo e guerra ed un’epoca ancora sconosciuta ma di pace e libertà.
Ecco quindi che finalmente riprende fiato l’idealismo borghese, che sogna società future grazie alle nuove tecnologie ma senza mettere in discussione gli attuali rapporti sociali, che vede un capitalismo che si libera magicamente delle sue insanabili contraddizioni grazie ai giovani, categoria mitica e astratta, che vedono oltre il miope sguardo dei vecchi. Uno scontro di civiltà, vecchio e nuovo, che non esiste se non nell’immaginario dei sognatori del “capitalismo a misura d’uomo”.
Ma a queste pie illusioni gli fanno eco quelli de il Foglio del 10 ottobre: «Può darsi che i giovani pro Pal fossero davvero in anticipo, ma l’impressione è che Baricco sia arrivato un giorno in ritardo, con la sua pensosa riflessione. Ieri è stato siglato un accordo di tregua, per quanto appeso a un filo, ma è stato raggiunto perché la centralità delle armi, quella degli stati e dei confini hanno individuato una possibile via d’uscita dal conflitto».
E qui torna il caro e vecchio realismo borghese che non vuole di certo abbandonare il redivivo Si vis pacem, para bellum, “se vuoi la pace prepara la guerra”, caro mio. Peccato che la pace proposta è la pace imperialista, transitoria e preparatoria di ulteriori guerre e atrocità nel sacro nome del capitale, dove non si lesina a buttare nel tritacarne degli interessi imperialistici, di parte, masse di lavoratori, siano essi civili o soldati. La guerra è strumento di lotta tra frazioni borghesi ormai sdoganato anche nell’attuale immaginario collettivo, ma comunque non parliamo di imperialismo, per carità, questa è davvero roba del secolo scorso: «[…] l’imperialismo c’entra poco e ancor meno il colonialismo: “animale” che ha finito di morire negli anni Sessanta del secolo scorso. È la politica di realtà, non il “mondo immensamente più liquido, più trasparente” ad aver forzato il passo». Eccolo ben presentato il realismo borghese, che nega anch’esso le contraddizioni insanabili di questa società divisa in classi, che nega la teoria marxista dell’imperialismo, fase suprema del capitalismo, perché dovrebbe fare i conti con la sua stessa esistenza e natura.
Ma nello scontro mefitico tra idealismo e realismo borghese al dunque si presenta l’osservatore disilluso di sinistra, che ne ha viste tante e per questo, a suo insindacabile giudizio, può svolgere il ruolo non di paciere, ma di vecchio saggio, dispensando consigli a destra e a manca.
Michele Serra su la Repubblica del 10 ottobre ha modo di polemizzare con Baricco, non dalla parte del realismo borghese, ma di quella del disincantato idealismo di medesima matrice: «Credo che quanto detto per il Novecento (contenne guerra e pace, tirannide e libertà, reazione e progresso) valga anche per il nuovo evo. La conferma del dominio dei ricchi sui poveri, e degli armati sui disarmati, non rappresenta alcuna rottura con il Novecento. Ne è, semmai, la radicalizzazione; la prosecuzione con mezzi tecnologici infinitamente più raffinati, così che dominio e sterminio non interrompano il loro millenario filo rosso».
Molto bene caro Serra, non bisogna mai andare oltre un certo livello della superficie della questione altrimenti bisognerebbe tirare fuori per la vera comprensione del reale i concetti di “divisione in classi della società”, “spartizione del mondo per sfere di influenza”, “ineguale sviluppo”, ecc. Bisognerebbe “tornare” al marxismo e questo non è accettabile.
Meglio elargire un bel consiglio disinteressato ai nuovi sognatori di future società: «[…] il problema è sempre lo stesso, e nei secoli ha solo mutato le sue forme: evitare che il potere sia di pochi, che la ricchezza sia di pochi, e che quei pochi decidano di fare la guerra (facendola fare agli altri). La rivoluzione digitale, fino a qui, non ha nemmeno scalfito i vecchi assetti, e dunque non mi sento di dire che mi fido del secolo nuovo più di quanto mi sia fidato di quello vecchio».
Ricchi e poveri, pochi contro molti. Ma davvero basta accontentarsi di queste banalità presentate come indiscusse perle di saggezza? Davvero sarebbe questa la critica al capitalismo?
Non prendiamoci in giro. Il marxismo offre ampi strumenti per analizzare l’attuale società e i suoi mutamenti, per lottare contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, per annientare definitivamente questa barbarie. Basta solo abbracciarli. Ma qui tra idealisti, realisti e vecchi saggi borghesi l’unica cosa che sanno abbracciare veramente è la loro fetida funzione di apologeti del capitale.