LORO E NOI - 23/10/2025
 
Weimar mondiale

La Lettura, l’inserto domenicale del Corriere della Sera, ha pubblicato, il 12 ottobre, un articolo di presentazione di Giuseppe Sarcina all’ultimo libro scritto dal politologo americano Robert D. Kaplan (Il secolo fragile, Caos e potere nel mondo in crisi permanente), un testo che analizza l’attuale fase internazionale, e in cui si presenta la tesi secondo la quale nessuno è più in grado di esercitare un’egemonia mondiale, non più gli Stati Uniti, non ancora, se mai avverrà, la Cina, dove gli organismi internazionali non hanno efficacia, con il G7 o il G20 che non riescono ad esprimere la minima capacità di incidere sul corso della storia. «Viviamo nell’era del “G0”: tanti vertici, zero decisioni».
Per trovare un precedente storico Kaplan fa riferimento alla Repubblica di Weimar, all’esperienza della Repubblica tedesca durata quindici anni, dal 1918 al 1933, ad un assetto statuale guidato da un Governo considerato debole che, preoccupato che potesse nascere una dittatura, si sarebbe lanciato all’estremo opposto, plasmando un sistema istituzionale in cui nessuno governava e nessuno era veramente al potere. Un assetto descritto come in perenne crisi, animato da un caos permanente, «uno scenario di anarchia che aprì la strada alla violenza, alla dittatura, ad Adolf Hitler».
Il mondo, privo di una guida, di una direzione, di un ordine, vivrebbe oggi una situazione analoga a quella vissuta dalla Germania prenazista, sprofondando inesorabilmente verso l’anarchia internazionale e un destino fatto di guerre. Una visione pessimistica sull’imminente futuro, basata sul presupposto che «la natura umana non migliorerà», che l’umanità, più tecnologica ed evoluta, rimarrà comunque perversa come è sempre stata.
Il disordine di questa presunta nuova Weimar mondiale è per noi l’imperialismo, la fase del capitalismo maturo in cui concorrenza e interdipendenza universalizzano la borghesia conservandone però i particolari e contrapposti interessi nazionali. Una fase che non ha mai abbandonato la possibilità della guerra e che, di conseguenza, non ha mai escluso la prospettiva della rivoluzione proletaria.
Non vedendo la lotta di classe, si cade facilmente nelle banali e astoriche spiegazioni basate sulla natura umana cattiva, su una visione del mondo che, eternizzando il capitalismo, non riesce a cogliere lo sviluppo sociale manifestatosi nei secoli precedenti, a comprendere che le crisi possono essere la premessa di una società migliore che superi gli attuali rapporti di produzione. L’imperialismo non può non provocare guerre, ma le guerre possono risvegliare l’identità rivoluzionaria della classe operaia. Un’identità che in Germania, dopo la Prima guerra mondiale, è stata contrastata prima dalla Repubblica di Weimar e poi dal nazismo, nella piena continuità di interessi della classe dominante.