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Una città a misura d’uomo
Quello abitativo è un problema che caratterizza il capitalismo italiano e alcune grandi città come Milano in particolare. Un problema fortemente legato alle crescenti disuguaglianze socio-economiche, alle condizioni di precarietà, ricattabilità e povertà vissute da comparti crescenti di salariati, costretti a pagare affitti alti in cambio di condizioni abitative indecenti.
Il Corriere della Sera («Famiglie in monolocali e affitti in nero. La vita dei lavoratori della movida», 21 dicembre 2025) descrive il luogo in cui vive Ismail, lavoratore occupato in un ristorante in zona Isola, costretto a vivere con la famiglia, moglie e due figli piccoli, in un appartamento in via Imbonati di soli venticinque metri quadrati, a dormire su un materasso appoggiato a terra dato che l’unico letto presente lo lascia ai bambini, a pagare, ovviamente in nero, 600 euro al mese perché sotto tale cifra è ormai impossibile trovare alloggio a Milano.
Una famiglia bengalese che vive in via Farini da oltre dieci anni, ha ricevuto, per un alloggio vecchio e mai sottoposto a manutenzione, una richiesta di affitto di 1.300 euro mensili, una cifra insostenibile per il capofamiglia che con il suo lavoro mantiene moglie e tre figli e che ora teme di essere sfrattato. Hira, bengalese di 28 anni, vive invece con la moglie e il figlio di tre anni ai Navigli, la zona simbolo delle serate milanesi, in un sottotetto di appena venti metri quadrati, con un solo divano da dividersi in tre, senza riscaldamento e con l’acqua che filtra dal soffitto quando piove.
Si tratta di casi non isolati, di situazioni diventate comuni nei quartieri della movida milanese, nelle zone del divertimento illuminate costantemente dalle insegne di bar, ristoranti e locali affollati, dove si consuma ogni giorno una realtà opposta a quella patinata della notte, una realtà fatta di cuochi, lavapiatti, camerieri, addetti alle polizie costretti a vivere in spazi minuscoli, inabitabili, indegni, con affitti sproporzionati in relazione allo stipendio percepito. Si tratta, il più delle volte, di lavoratori immigrati che vivono in «monolocali sovraffollati e soffitte adattate ad abitazioni, con contratti assenti e al limite dell’estorsione. Non episodi isolati, ma un sistema». Lavoratori della ristorazione, occupati nei locali chic della città, costretti ad accettare condizioni abitative svantaggiose a causa di proprietari che speculano sulla necessità di abitare vicino al luogo di lavoro perché se la casa fosse troppo lontana faticherebbero a reggere i turni, i ritmi, gli orari che il comparto della ristorazione impone.
Le disparità abitative nella capitale economica d’Italia sono il termometro di un tessuto sociale sempre più polarizzato, che sacrifica i basilari diritti dell’uomo all’altare del capitale.
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